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progetto editoriale: romanzo fantasy

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Prologo

Prologo

Il crepuscolo avanza implacabile, avvolgendo tutto con la sua luce tenue, l’ultimo bagliore di un’epoca che sta volgendo al termine. Un’epoca di splendore e di disperazione, di rinunce e di speranze perdute nell’oscurità dell’universo.

Ci avviciniamo rapidamente al momento della nostra fuga, verso l’ignoto, verso un futuro incerto e al contempo affascinante. Siamo sette anime erranti in un mondo che ci ha voltato le spalle, costretti a lasciare tutto ciò che un tempo avevamo conosciuto.

Eppure, non possiamo fare a meno di chiederci se, oltre all’inevitabile destino che ci attende, esista ancora una speranza, un barlume di salvezza in quell’infinito buio stellato che ci circonda. Forse è solo un’illusione, un baluardo eretto dalle nostre menti stanche, ma è l’unica forza che ci spinge a compiere questo salto nell’ignoto.

Mentre gli ultimi raggi del crepuscolo si tingono di rosso e arancione, prepariamo i nostri cuori per l’imminente avventura, consapevoli che potremmo essere destinati a vagare per l’eternità senza trovare mai un luogo in cui posare le nostre stanche membra. Ma è proprio questa incertezza a darci la forza di affrontare il buio avvolgente che ci attende.

E così, mentre ci prepariamo a compiere il nostro salto nell’oscurità, sentiamo pulsare dentro di noi la speranza, fragile eppure potente, che ci spinge a guardare oltre l’orizzonte, oltre il crepuscolo che si dissolve lentamente, verso un futuro che potrebbe celare ogni sorta di meraviglia o di terrore.

Siamo i testimoni di un’era che giunge al termine, ma allo stesso tempo siamo gli artefici del nostro destino, pronti a gettare le nostre anime nella notte cosmica con la speranza che un nuovo giorno possa sorgere per noi, ovunque esso sia.

Capitolo 1 – Anastasia

Ed eccoci qui: il cerchio dei sette, quattro uomini e tre donne.

Io sono la più vecchia, ho vent’anni, gli altri vanno a decrescere; il più giovane ne ha solo quattordici-

Ci guardiamo sapendo perfettamente che sarà un salto nel buio, in tutti i sensi.

Non ci sarà un’ altra occasione.
Ora o mai più.

Non so neanche dire se provo davvero paura.
Solo il vuoto nella mia mente.

Tutti in piedi in cerchio davanti alla pozza d’ acqua in cui ci dovremo immergere e pure ribolle come se sgorgasse dalle viscere più profonde.

Ce l’hanno rivelato i Saggi che siamo in grado di saltare nel Tempo.
Eppure non abbiamo più Tempo.
Sembra un brutto scherzo.
In verità io non ho mai saltato da nessuna parte se non nelle gallerie di Bingo Crepuscolo.
Mi allenavo sotto la guida del Saggio che mi ha allevata.

I Saggi non hanno nome, non hanno età, non hanno nemmeno un corpo.
Io ne ho solo percepito la voce, talvolta la presenza, ma non l’ho mai visto in carne ed ossa.
Ho sempre solo avuto la compagnia degli altri sopravvissuti.
Eppure il mio Saggio, ogni giorno, ripeteva che ero merce preziosa.

Alla mia destra Ester che non guarda nessuno e sembra ascoltare l’aria; poi Leandra che invece fissa l’acqua con aria di sfida; il piccolo Salomon sta diritto sugli attenti, pronto agli ordini; Frank sembra ruggire di impazienza “… ma che stiamo aspettando ancora!”; Edward é vestito a festa anche in questa occasione, non vuole farsi cogliere impreparato; infine Lear accanto a me che vorrebbe tanto allungare la mano verso la mia e chiedermi “…saltiamo insieme così non ci perderemo, forse”.

Eccoci qui, ci siamo!

La campana ci sta allertando e i Saggi a uno a uno ci chiameranno per immergersi.

Non c’è più Tempo!

Capitolo 2 – Il salto


Fissiamo l’acqua che – accompagnata dal canto dei Saggi  – sta girando su se stessa creando un vortice.


Io sarò la prima, Anastasia, la maggiore, la perfetta.
Sono quella che ha ricevuto il miglior addestramento.


Sento una litania che rimbomba nella mia testa:
“La tua missione é quella di integrarti nel Nuovo Mondo al quale rinascerai. Dovrai riprodurti e congiungerti con un Essere Umano degno del tuo valore. Non dovrai mai svelare la tua vera identità altrimenti morirai. Loro ti uccideranno.
Prendi lo zaino che trovi ai tuoi piedi e caricatelo sulle spalle, fissalo in vita. Non perderlo! All’interno c’è tutto l’occorrente per la tua difesa e la tua salvezza.
Ricordati nessuno deve sapere chi sei e che provieni dal Futuro!
Io continuerò a vegliare su di Te, ma devi essere brava a camuffarti, ad assomigliare a Loro, qualsiasi essi siano.
Buona fortuna Anastasia.”


Silenzio.


Non so cosa provo: so solo che devo saltare.


Fisso lo zaino al mio corpo, non oso alzare lo sguardo sui miei compagni, forse se lo facessi mi verrebbero meno le forze.


È certo che non ci vedremo mai più.
Oh Lear, mio amatissimo Lear, non ho avuto nemmeno il tempo di dirti addio.
Mi accuccio e con un balzo salto, senza pensare, l’ istinto mi guida.


Silenzio.


Un altro Saggio si avvicina al suo Protetto.
Tocca a Lear.
Stessa Liturgia, stesso Battesimo.
Lear salta.


Tocca a Frank, poi Ester, Leandra, Edward e per ultimo Salomon.

Capitolo 3 – Il ventre dell’ultima Terra

“Sono finalmente partiti!”

“Ma erano davvero pronti?”


“Pronti o non pronti non si poteva fare in un altro modo!”


“È da millenni che attendiamo questo momento. Noi non siamo altro che Trascendenza degli Antichi, li abbiamo conservati nelle loro teche, li abbiamo riportati in vita, allevati, educati, addestrati. Erano gli Ultimi Uomini. Cosa potevamo fare di più?”


“Non potevamo, comunque è il loro aspetto che mi preoccupa…”


“…e in qualsiasi epoca andranno verranno visti come …”


“Glielo abbiamo inculcato nel sangue che devono camuffarsi o no? Glielo abbiamo detto che in qualunque epoca e luogo loro fossero capitati gli Altri sarebbero stati diversi. Dovranno integrarsi e velocemente.”

Silenzio.

La colonia di Bingo Crepuscolo era silenziosa percepiva che quella fioca luce che ancora persisteva tra qualche minuto sarebbe scomparsa.

“Allontaniamoci da qui: le Ombre stanno per arrivare!


“Ritorniamo alla Macchina e poi?”


“…e poi ritorneremo a essere Puri Spiriti come in realtà siamo. Guardiani di quello che rimane della Civiltà umana.”


“Questo è il nostro compito!”


“Ma che ne sarà della Terra?”


“La Terra? Questo Pianeta ti pare la Terra. Non è altro che un ammasso di roccia e ghiaccio.”


“Il nucleo si sta raffreddando rapidamente potrebbe spaccarsi in qualsiasi momento. Così la Macchina verrà liberata e vagherà all’Infinito. Proprio come avevamo previsto.”


Silenzio profondo.

Capitolo 4 – Nella tana del lupo

Capitolo 4 – Nella tana del lupo

Ho iniziato a vomitare, e sembrava non finire mai; viaggiare nel Tempo, non è un’esperienza piacevole.

Mi sono sollevata dall’acqua verdastra e torbida del lago, i polmoni si stanno ancora abituando all’aria.

Aria fresca, un vero miracolo!

Indosso gli occhiali; tutta questa luce è abbagliante. Non riesco ancora a far fronte a tutto quello che vedo. Montagne altissime, prati con erba colorata di un verde lucente. Ha appena piovuto. Io, che non ho mai visto la pioggia, ora la sto annusando.

Fiori, alberi, piccoli animali intorno a me, sono ancora china appena oltre al bordo. Prima di stare così male, sono riuscita a sganciare lo zaino e ad aprirlo. Sono fradicia, è meglio cambiare la tuta; meglio indossare quella mimetica, che muta colore secondo il paesaggio. Sicuramente diventerà verde appena l’indosserò. La tuta bianca termica ora non serve.

Uno sforzo e mi alzo, incoraggiando me stessa: “Su, Anastasia, ce la fai!” Le gambe mi reggono a malapena. Barcollo, cerco un appoggio. Non saranno velenosi gli alberi? Mi sembrano immobili. Devo rischiare.

Mi svesto e mi cambio più in fretta che posso. I profumi, gli odori sono forti, alcuni disgustosi, altri inebrianti. Che confusione. Il mio olfatto è molto sviluppato, così come il mio udito. Per adesso la vista è fuori uso, almeno fino a quando non mi abituo. Per il gusto ci vuole più tempo: ho paura.

Del tatto non posso non servirmene. È il primo dei miei sensi chiamato in gioco. Gli altri sensi a mia disposizione mi serviranno, eccome! Quando incontrerò qualcun’altro assomigliante a me.

Quanti rumori: ronzii, scricchiolii, versi, zampette e antenne che si toccano, ma un momento… c’è una presenza dietro di me. Ringhia sommessamente. Un animale, sembra un lupo, sì! È una femmina, ne vedo i due cuccioli fermi ai suoi lati. Forse sono venuti a bere e hanno trovato me! Devo impaurirli molto, che visione! Comunico loro telepaticamente che non ho intenzioni bellicose.

“Sto cercando la via per arrivare agli Esseri Umani.”

“Perché?” mi chiede la Lupa.

“Gli Umani sono terribili. Occorre starne alla larga.”

Io le rispondo che in un certo modo anch’io appartengo alla loro Specie. La lupa si avvicina e mi annusa. “Tu hai un odore diverso, scopriranno che vieni dal Lago, dall’Acqua.”

“Insegnami, Lupa, la strada. Sarò in grado di diventare come loro.”

Chiudo finalmente la tuta che subito cambia colore e divento erba.

La Lupa stupefatta mi vede sparire, poco a poco, davanti ai suoi occhi.

Capitolo 5 – Tra le braccia di una strega

Con cautela, mi sollevo dal materasso morbido e, con un’occhiata al riflesso in una pentola d’acqua vicina, noto il mio aspetto alterato.

La capretta curiosa continuava a scrutarmi con gli occhi gialli. La presenza silenziosa di quel piccolo essere mi fece sorridere. Era la mia prima compagnia in questo mondo remoto.

Il mio ruolo, la mia missione, iniziavano a prendere forma in questo posto così lontano da Bingo Crepuscolo.

Capitolo 5 – Tra le braccia di una strega

Capitolo 6 – Ester e Leandra, insieme per sempre.

Adesso tocca a noi e dico a noi perché Leandra non ha voluto saperne di saltare da sola.

“Ovunque tu andrai Ester, io sarò con te!”

“I Saggi hanno raccomandato di saltare ognuno per conto proprio; potrebbe essere pericoloso essere in due.”

“Perché?”

“Così hanno detto e sembra utile, per la nostra sopravvivenza, dare loro ascolto Leandra, piccola mia.”

“Ma io ti amo e non posso lasciarti.”

Nessuna risposta.

Certo che questi nostri mentori sono bravi a dire, a ordinare, a organizzare, ad addestrare, ma su questa precisa domanda c’è una sola risposta.

Un evasivo: non provateci mai!

Abbiamo nascosto i nostri pensieri… Solo Lear, il fratello gemello di Leandra, sapeva.

L’avrà raccontato subito ad Ana, figuriamoci.

Lui non voleva lasciarla, ma Ana, disciplinata come è sempre stata si sarà negata.

Per paura dei Saggi? O teme altro? Cosa ci sarà nel vortice? Cosa sa più di noi?

Troppo controllata la nostra Anastasia: non sa niente più di noi, ma quanto darei per toglierle dalla faccia quella sua espressione calma.

Comunque loro due non hanno detto e pensato niente, almeno finora.

L’acqua continua a ribollire: mi fa una paura. Leandra pensa che sono una persona coraggiosa, ma sono solo audace. Così mi hanno insegnato ad affrontare gli eventi avversi

Ana e Lear si amano da quando erano piccoli come me e Leandra e come mi aspettavo sono saltati separatamente, proprio da bravi ragazzi.

Non ho potuto fissare Lear, nemmeno una volta, avrei svelato i nostri intenti.

Ed eccoci qua, tocca a noi.

Un balzo in due, abbracciate, le mani giunte.

Insieme.

Il canale del tempo non é un passaggio comodo: stretto, caduta libera come da un dirupo e pareti che bruciano, la pelle che sfrega, un senso di nausea fortissima, il frastuono… forse i saggi avevano ragione?

Acqua limpida che si macchia: il lago diventa rosso. Che sia sangue?

Una bambina se li vede davanti spuntare dal nulla.

Un grido: la madre richiama Ute, la figlia che si avvicina all’acqua.

I coccodrilli subito si gettano e in un gran ribollimento, come quello della pozza del Tempo, di Ester e Leandra non c’è traccia.

Dove sono andate?

La madre accorre, spaventata, e trattiene la figlia, l’allontana dal liquido rosso.

Per un momento cala il silenzio, si sentono solo i tuffi dei coccodrilli che stanno cercando qualcosa nelle profondità. La madre si avvicina, è curiosa. Non capisce cosa può essere stato, guarda in alto, qualcosa dal cielo, si chiede.

Si chiama Elonga e fa parte della tribù dei cacciatori di mammuth. La sua casa si trova vicina e deve accorrere per avvertire la sua gente.

Forse il lago è pericoloso e l’acqua non si può più bere.

Le donne sono vestite di pelli leggere e stavano raccogliendo bacche viola per la cena, però adesso è il caso di correre al villaggio, immediatamente.

Capitolo 7 – Frank, Edward e Salomon nel vortice del tempo.

È stato tutto così rapido, così inaspettato.
Cosa é successo?
Sono saltate.
Insieme?
Ma non potevamo!
Non ne usciranno vive
.

Frank, Edward e Salomon si guardano disorientati.
Il momento magico è passato.
C’è un gran parlare tra i Saggi.

Ne abbiamo perse due come è potuto accadere!

Perse?

I giovani si guardano ancora e non riescono a celare i loro pensieri che si traducono addirittura in parole.


Traditori! Ci mandate a morire per salvare Voi stessi.


Un Saggio si volta, nella loro confusione, quasi ha dimenticato gli ultimi tre maschi.
Le femmine, quelle più preziose, ormai sono andate.
Occorre preservare ciò che rimane.


Il Saggio di Frank gli si avvicina e lo attira verso il vortice.
Frank, loro se ne sono andate ora tocca a te e lo spinge con una forza sorprendente.
Frank cade nell’ acqua come un piombo.
Il vortice si richiude sulla sua testa.

Edward e Salomon tentano di scappare saltando in un altro luogo, ma i Saggi li hanno circondati.
Li scrutano con occhi furenti, quasi fossero loro i colpevoli.
Cosa ci possono fare se quelle due matte hanno disobbedito agli ordini.

Edward viene gettato per primo.
Piange, implora.
I Saggi sono più forti.


Salomon è l ‘ultimo e il più piccolo.
Salta da solo, non c’è bisogno di spingerlo.


Verso la Morte.

Capitolo 8 – Quel che resta.

I Saggi sono radunati attorno alla pozza d’acqua ferma ormai.

<Il vortice si è richiuso sembra uno specchio, ci si potrebbe addirittura camminare sopra> dice Omar

<Tutto é successo quasi come previsto, ora tocca finire Quel che Resta da fare> aggiunge Olaf

<Bisogna farlo in fretta, i dati ci dicono che il Nucleo si sta raffreddando velocemente. Tra poco questo Pianeta diventerà una tomba e pronto per distruggersi per sempre> afferma, con decisione, Oleg

<Sappiamo in che epoca sono saltati, vero Oleg? Siamo in contatto? Possiamo monitorarli?> domanda Olaf

<Sì, lo sappiamo, questa volta non li perderemo>  risponde Oleg

<È grottesco che per salvare Quel che Resta dell’umanità, sperare in un futuro,  occorre tornare nel Passato.
Fa ridere, eppure non siamo riusciti a prevenire la catastrofe>
considera Orunn

<Per prevenire occorre pensare, costruire, organizzare, realizzare e soprattutto procreare. Noi ci siamo fermati, impigriti dalle comodità, dai vizi, dal lusso. Era inevitabile finire così. Quel che Resta erano solo questi sette giovani e ne abbiamo già perse due. Non siamo stati granché capaci. Nemmeno questo…>  pronuncia sommessamente Otlas

<Lo sentite il rombo? É ancora lontano, tra qualche minuto giungerà al nostro livello. Affrettiamoci a ritornare nella capsula, non possiamo permetterci che il nostro Spirito rimanga distaccato dai nostri cervelli. Quel che  Resta del nostro corpo, la parte più preziosa. Senza di loro non potremmo più aiutare i nostri ultimi Figli>  proclama Ocella

<Non resterà niente della Terra, di questo posto bellissimo, meraviglioso, pieno di vita. Nemmeno il ricordo se coloro che ne hanno Memoria non saranno più vivi> confida Ofelia

Il rombo è diventato assordante e sovrasta ogni altro rumore che diventa un battito d’ali come quello di una piccola capsula che si allontana tra i detriti della deflagrazione. La luce del boato, Quel che ne Resta, si vedrà per milioni di anni dispersa nel Vuoto.

Capitolo 8 – Quel che resta

Capitolo 9 – Quel che non c’è più

Prima era la smania del denaro, del tutto.

Non doveva mancarti niente se no eri uno sfigato.

Ti disprezzavano fino alla depressione ed è stato il periodo dei suicidi.

Gli influencer ed i politici discutevano animatamente al riguardo senza proporre nessuna soluzione.

Non era il loro lavoro decidere, ma solo comunicare, propagandare, a volte con effetti speciali.

Erano bravi, erano i nuovi guru, quelli chi ti suggerivano come dovevi vivere.

Anzi proponevano la loro vita come modello e scrivevano al riguardo come una nuova Bibbia, dei nuovi Messia.

Tuttavia nell’inseguire la Novella i più naufragavano in un oceano vuoto.

Non era la loro vita, ma il simulacro di un altra e chissà se quest’altra era davvero così.

Poi ci furono i veleni, quelli che interessavano il corpo; l’anima era già contaminata dalla cacofonia delle Comunicazioni.

Bisognava fare attenzione a tutto, le persone indossavano sterili tute bianche. Si vedevano solo gli occhi. Un burqa che rendeva uguali uomini e donne.

Finalmente.

Ma gli influencer, per animare le nostre vite e il loro business, lanciarono delle tute firmate, in fantasia, di tutti in i colori, che si adattavano a tutte le occasioni.

Fu questo il colpo finale alle nascite, già in netta diminuzione, diventarono programmate secondo una pianificazione demografica portata avanti dai politici.

I bambini che nascevano venivamo allevati tutti insieme, si selezionavano tenendo conto delle loro capacità.

Alcuni venivano conservati per il Futuro.

Tutto avveniva qui e ora in una connessione perpetua, il futuro non si sapeva cosa fosse.

Ma qualcuno lo sapeva ed erano quelli che smaniavano per il Potere.

Gli uomini sarebbero serviti senza anima, ma ognuno con le proprie capacità ben sviluppate: per Fare.

Noi sette eravamo stati selezionati per un Futuro nel Passato; eravamo i diretti discendenti degli uomini di Potere, che sapevano già come sarebbe andata a finire.

Mi sono accorta di questo solo vivendo nell’epoca che mi era stata assegnata, prima, non essendo capace di guardare oltre le gallerie di Bingo Crepuscolo, non avevo mai sospettato di niente. Vivere nel passato significava essere a contatto con Anima e Sangue. Non c’erano Regole, Strutture, Saggi.

C’eri solo Tu.

Solo Ester e Leandra si sono ribellate e sono state tolte di mezzo senza nessun scrupolo.

Io avevo sempre accettato tutto e sono ancora viva.

Finora.

amore al tempo della pandemia

Capitolo 10 – L’epoca di Anastasia

La lupa continuava ad annusare l’aria, sentiva il mio odore, odore di acqua e di foglie morte.

Ma sei ancora qui?

Sì, ci sono, solo che ho il colore dell’erba. Allora mi porti dove vivono gli uomini?

Tu scherzi con il fuoco, ma se è questo che desideri, ti mostrerò la strada e ti accompagnerò sino alla collina che sovrasta il mondo dei Mostri. Così li abbiamo chiamati. Ti dico che sono pericolosi, dei veri diavoli, perché non mi dai retta? Torna nell’acqua!

Lupa, non posso, devo trovarli, io sono come loro, non capisci?

Tu vuoi essere come loro, è diverso, comunque non ti abbandonerò. Seguimi!

Sì non correre, io non so ancora camminare bene.

Iniziai, le gambe mi tremavano un po’, non volevo aggrapparmi a un ramo spezzato. Seguii la lupa che di tanto in tanto si fermava, si voltava, annusava e sapeva che ero presente.

Con lei, un animale, e le parlavo pure; doveva essere frastornata.

Fu lungo e faticoso, attraversammo radure, piccoli boschi e poi di nuovo praterie. Strade non ce ne erano in lontananza e la lupa non era così stupida da percorrerle. Io continuavo ad ammirare tutto ciò che mi circondava e sentivo il calore del Sole. Questo calore così confortevole, diverso da quello a cui ero abituata. Ero grata per questo. Il Creato perfetto. Aria, Acqua, Fuoco, Terra, tutti insieme. Cosa nuova per me, mi mandava in estasi. Quanta vita su questa Terra Passata. Cosa abbiamo fatto per perdere tutto prima, molto prima, del Crepuscolo Solare.

La lupa anche se non mi vedeva, sentiva i miei pensieri di gioia, di rabbia, di insicurezza.

Devo dire che un po’ ci assomigli agli umani: sei matta come loro.

Lupa chi sei?

Sono una lupa, non lo vedi.

Intanto i cuccioli le correvano accanto senza mai perderla di vista, felici giocavano con tutto quello che gli capitava davanti: lo stelo di un fiore cosparso di grasse api colorate, pollini vaganti; a un tratto mi accorsi che era probabilmente primavera.

Le nubi correvano veloci e il cielo era vivido dopo la pioggia.

Un paradiso, un Eden, come quello descritto dalla Bibbia.

Improvvisamente la lupa si fermò e io mi scontrai con la tempesta dei miei pensieri.

Ecco la collina, saliamo lassù e poi ti lascio andare con i tuoi simili.

Mi voltai e la vidi, mi assalì la paura, un’ ombra di una nuvola mi oscuró la vista e quella collina mi apparve sfocata come in un sogno.

Chiusi gli occhi, li riaprii, quella era la strada che il destino mi riservava?Ripresi a camminare fissando la meta sino a farla scomparire. L’ incanto era svanito. Ci inoltrammo in una foresta. Fitta e fresca. Grandi massi, alcuni enormi ci circondavano, quasi a proteggerci.

Questa è una foresta magica. Riprese la lupa.

Da rifugio a coloro che scappano che siano briganti o poveri o dannati. Sono dei fuggitivi, dei sopravvissuti come te. Quando ne avrai bisogno mi troverai qui, sentirò il tuo odore, donna dell’Acqua. Affacciati su questa sporgenza e li vedrai.

Così feci e li vidi, per la prima volta. Uomini come me.

Un villaggio intero.

Grazie Lupa, per questa notte la foresta sarà il mio rifugio. Questi alberi mi daranno conforto.

La lupa e i suoi due cuccioli già non c’erano più. Avevo la sensazione che non ci fossero mai stati, ero smaniosa di fare nuovi incontri, ma in quale epoca ero capitata?

Cosa mi sarei dovuta aspettare. Gli indizi mi dicevano che il passato era remoto.

Nessuna strada, nessun incontro, nessun manufatto, nessun segno di civiltà.

Preistoria, speriamo di no!

Puntai il cannocchiale e vidi una recinzione fatta di lunghi pali conficcati nel terreno.

Una costruzione rudimentale, pensai. Non promette nulla di buono.

Guardie osservavano attente il territorio e l’unica strada che percorreva tutta la valle.

A quanto pareva molto solitaria, ma sembravano attendere qualcuno.

Tutt’intorno altre colline, altopiani con varia vegetazione, basse nubi che velavano le cime più alte, un profumo d’aria pungente che penetrava nelle narici, le purificava.

Grandi uccelli in volo.

Silenziosi si lasciavano trasportare dalle correnti.

Ritornai alle guardie; alcuni indossavano elmi, altri stavano a capo scoperto.

Uomini a cavallo galoppano veloci portandosi dietro polvere e roccia.

Dal nulla.

Un raggio di sole punta su di un’insegna sorretta dal primo uomo in colonna.

Un’aquila d’oro si illumina: l’aquila di Roma.

La foresta magica

Capitolo 11 – Seguendo il sentiero

Mi ritirai indietro, tra i cespugli, appena visto i miei simili.

Che impressione strana osservare altri uomini totalmente sconosciuti. Io che non ho mai vissuto con nessun altro che i miei compagni.

Sbirciai di nuovo erano tutti maschi, un altro drappello si fece avanti dal fortino, si incontrarono; uno dei forestieri scese da cavallo e saluto con la mano alzata. Dopo i convenevoli i cavalieri furono fatti entrare, sembravano stanchi. Uno di essi faceva fatica a rimanere in sella, forse era ferito? Cavalcavano a gambe nude, indossando vesti corte e pettorali. Sette in tutto. Non erano alti, io lo ero di più, forse la mia altezza sarebbe stata un problema? Solo quello più malfermo mi sembrava più robusto e più alto di me.

Mi sedetti sul bordo della mia terrazza in pietra, sentivo il cuore che batteva forte, era la prima volta che li vedevo, gli Umani. Sarei stata in grado di passare per una di loro senza attirare sguardi inopportuni? Ci saranno altre donne dentro quel fortino? So che per le donne, in passato, era durissima, come faró a sopravvivere? Aveva ragione la lupa: meglio evitarli gli Umani. Mi colse la paura, una sensazione provata di rado. Freddo in tutto il corpo e una gran voglia di correre via da lì.

Infatti mi alzai e corsi, corsi sui sentieri di quella foresta che mi abbracciava come la madre che non ho mai avuto.

Sono esausta devo essermi allontanata abbastanza.

Comunque le mie gambe funzionano bene e i miei sensi hanno dato ragione alla lupa.

Mi fermai assorbendo la pace profonda che emanava quel luogo.

Gli alberi frusciavano, scricchiolavano, parlavano nel vento. Il sole tra le fronde penetrava gli squarci tra i rami e mi colpiva la fronte, gli occhi con il suo calore.

Com’ era piacevole.

Rimanere nella foresta protetta dalla Natura, vivere come un eremita, sarebbe meglio?

Mentre vagheggiavo in sogni confusi non me ne accorsi subito, ma vidi delle grosse pietre incise e con delle coppe scavate nella roccia. Esse contenevano piccoli semi e frutti. Sotto una roccia che fungeva da tetto vidi una rudimentale capanna fatta di legno e di altre pietre.

Certo non era stata la Natura a collocarle in quel modo.

C’era qualcuno qui, fu allora che vidi il fumo e il mio sogno svanì in esso.

Seguendo il sentiero notai che questo era ben costruito, allineato con dei muretti. Alzai lo sguardo e vidi delle terrazze intagliate nella collina. Ordinate e precise. Ora, ero molto curiosa di conoscere chi abitava li, sicuramente uno che voleva stare da solo.

Come me.

La terra era umida e morbida sotto i miei piedi, ma facevo attenzione a non farmi cogliere in fallo.

Camminai, la tuta – metamorfosi era calata in vita e io me la sfilai tutta. Rimasi con una canotta e dei pantaloni verdi come le foglie del sottobosco. Le scarpe aderivano perfettamente al suolo, quasi non mi si vedevano i piedi. Ero sudata e avevo sete. Mi legai i capelli biondi in una coda.

A un tratto sentii delle voci, sembravano ostili: tre uomini a cavallo accerchiavano una donna. Ero giunta a una radura con al centro una casa in pietra, senza il tetto e una modesta capanna di pelli. Un fuoco era acceso, forse la donna stava preparando il pasto ed è stata assalita.

Come in un sogno tutto è stato rapido che quasi mi sfugge davanti agli occhi: un uomo alto esce dalla capanna brandendo un fucile che avevo già visto. Spara in alto e parlando una lingua che comprendo bene intima a quegli uomini di andarsene.

I cavalli si spaventano e ne scaraventano uno per terra.

Certo vedere un uomo come Lear non è una cosa normale per loro.

Assomiglia più a un Dio che a un Umano.

Loro scappano e la mia vita inizia adesso.

La foresta magica

Capitolo 12 – Noi due

Lear fermo! Cosa stai facendo, così lo stai uccidendo?

Lear si immobilizza all’istante, non si volta.

Dà un’occhiata alla donna stesa a terra con le mani ancora sul capo per proteggersi. Perde sangue da un fianco o dal braccio. Ne perde molto. Meno male che l’ho fermato in tempo, ma sembra non accorgersi di me.

Continua a non voltarsi! Perché?

Sono infuriata, vorrei tirarglielo io un sasso in testa. Non si accorge che sto dietro a lui.

Lear, Lear, girati sono qui!

Indietreggia, scruta il bosco davanti, a destra e a sinistra, ma non si volta indietro.

Non puoi essere tu, questa deve essere un altra allucinazione. Cosa mi sta succedendo?

Si prende la testa fra le mani.

Oddio quanto sono stupidi i maschi! Non sono un’allucinazione Lear sono proprio io, Ana. L’unica Ana che tu conosci. Voltati subito!

Lentamente si volta … ha gli occhi sbarrati, anche lui è sporco di sangue, spero non il suo. Tiene stretta la pietra che voleva sbattere sulla testa dell’uomo disteso privo di sensi. Non capisco se mi vede, forse sono capitata in una dimensione parallela.

Sarebbe il massimo sopportabile, se così fosse penso che penserei al suicidio.

Comincio a dimenarmi, a saltare su di una roccia poi su un muro del rudere dove crescono fiori ed erba, poi su un ramo di un albero. Lui e la donna che – ora ha alzato lo sguardo incuriosita probabilmente dal baccano che sto facendo – mi osservano.

Finalmente la sua voce.

Ora basta Ana, saltare come una scimmia impazzita. Ti ho visto.

Oh! Finalmente e salto su di lui gettandolo a terra.

Ridiamo e ci guardiamo negli occhi, ci tocchiamo per verificare se siamo effettivamente noi due. Ci baciamo, un bacio lungo, morbido, umido quasi volessimo l’uno essere l’altro.

Ci siamo completamente dimenticati della donna. Si è rialzata e ci sta guardando immobile.

Dobbiamo aiutarla questi bruti pensano sia una strega. È ferita. Lasciami avvicinare da solo.

Fai attenzione è molto spaventata.

Mentre Lear si alza vedo che ha abrasioni da fuoco sulle braccia e sulle gambe. Non c’è dubbio è stata la discesa nel vortice del tempo.

Poi noi due parleremo.

Dice lui voltandosi verso di me.

Eccome ne parleremo, stanne certo dico controllando le mosse della nostra nuova amica.

Lear sarà alto almeno un metro e novanta, un colosso di uomo. Nero di capelli con gli occhi color del muschio. È decisamente differente da me che sono bionda con gli occhi azzurri.
Chan eil thu nad chùram dice la donna alzando la mano per fermare Lear.

Poi stramazza al suolo e la pozza di sangue si allarga sotto di lei.

Noi due

Capitolo 13 – Passato, presente, futuro.

Ci avviciniamo immediatamente alla donna e tamponiamo la ferita che si apre sul fianco. Non sembra profonda, sono convinta che si salverà e mi accingo ad aprire il mio zaino per cercare il pronto soccorso.

Stai tranquillo, faccio io. Puliró e cuciró il taglio. Lear aiutami a trasportarla dentro la capanna.

Va bene, poi daremo uno sguardo a questo qui.

Il torace si muove, respira.

Avrá un bel mal di testa quando rinviene.

Trasportiamo la donna all’interno e Lear va a controllare l’uomo che ancora non si muove.

Che strano – penso – gli uomini non ancora nati stanno aiutando quelli che ormai saranno diventati polvere. Ci sono delle volte in cui mi rendo conto dove sono e mi spaventa questo nuovo Mondo. Quello di prima lo conoscevo e non c’era anima viva se non noi, mentre qui le anime sono persino troppe. Sento pulsare la vita e non ero abituata a questo. Il silenzio; a quello ero abituata. Non indugio un minuto di più e inizio a pulire la ferita di questa ragazza. In effetti adesso che la osservo meglio mi accorgo di quanto é giovane.

Lear porta all’interno l’uomo, probabilmente ha un trauma cranico. È basso di statura, tozzo e muscoloso, le gambe ad arco come quelle di una persona che vive a cavallo. Il viso sgraziato: fronte bassa e rugosa, naso grande, bocca larga con labbra sporgenti. Direi proprio brutto. Saranno così tutti gli umani maschi? La ragazza mi sembra che abbia fattezze più fini. Magra e tutta nervi come una preda perennemente in fuga. Ecco lo avvicinò al fuoco e lo copro con questa pelle di pecora così il suo corpo non disperde calore.

Hai notato quanto fa freddo qui.

Ma secondo te dove siamo? Chiede Lear voltandosi verso di me.

Prima di incontrarti e ribadisco: è stata la cosa più bella che mi sia capitata, ho visto un’insegna sorretta da un uomo che guidava un drappello. Era un’aquila romana, simbolo di una qualche legione. Quale non lo so, e in quale parte dell’Impero, forse al nord, ma non ne sono sicura. Forse queste montagne sono le Alpi? Non ne ho la minima idea. Forse ai confini. Qui c’è qualcosa da mangiare che sia commestibile? Sono due giorni che non mangio e mi sento debole.

Qui c’è una zuppa che bolle dall’alba. Provo ad assaggiarla, dice Lear indicando il fuoco.

Stai attento. L’ odore non è disgustoso.

Lear assaggia il mestolo di legno che ha intinto nel liquido bollente.

Non mi sembra un intruglio da strega, possiamo mangiarla, dichiara Lear mentre sorride.

Non ti sembra una magia l’averci ritrovato?

Sussurro quasi avessi paura che improvvisamente tutto scompaia come in un videogioco… solo dei metadati in una realtà virtuale. Mentre sbraniamo quella pozione magica sentiamo dei gemiti provenire dall’uomo. Ci avviciniamo e lui apre gli occhi. Ci guarda tra lo stupito e l’impaurito, biascica una lingua che non comprendiamo subito.

Dovrebbe essere latino? Chiedo a Lear.

Qualche parola mischiata a una specie di dialetto penso, risponde Lear che aveva già preso una scodella fumante di cibo e gliela stava porgendo con fare amichevole.

Quis es? chiede con un filo di voce l’uomo.

Tacere non vis nocere tibi, risponde Lear e io mi sorprendo sempre di come e facile per lui comunicare in qualsiasi lingua.

Io non ho questa capacità; ne ho altre, ma non quella, penso dipenda da una predisposizione genetica e dallo sviluppo di certi centri del cervello.

Potesne nobis indicare ubi sumus? continua Lear.

Il romano non fa in tempo ad aprire la bocca che si trova un coltello conficcato nel ventre ed esala l’ultimo respiro, senza proferire parola.

a chionn gu’n do chaith thu aran air an damnadh so urla la ragazza con occhi assassini.

Restiamo anche noi senza respiro.

Capitolo 14 – In che epoca siamo?

La ragazza esausta sviene e si accascia su una pelle di pecora immacolata. La sua fatica era evidente, il suo respiro affannoso riempiva l’aria circostante. Mentre cadeva, i suoi pensieri vagavano tra le nuvole del sonno e della stanchezza estrema. La morbida pelle di pecora le offriva un conforto inaspettato, un riposo benvenuto dopo tanto sforzo. La luce del sole filtrava attraverso l’unico foro in alto al centro del rifugio, illuminando la scena e creando un’atmosfera di tranquillità. Era un momento di finta pace, un breve istante di pausa in mezzo alle avversità della vita.

Il sangue che esce come una fontanella dal suo fianco ne imbratta i lunghi peli arricciati. Le gocce rosse scendono lungo la sua pelle, lasciando una traccia vivida e inquietante. La ferita aperta è come un racconto silenzioso di lotta e dolore, un segno visibile della battaglia appena combattuta. Mentre il sangue scorre, il suo respiro affannato riempie l’aria, mescolandosi al sapore metallico della ferita. E in quei momenti di sofferenza, risuonano nell’aria antichi echi di coraggio e perseveranza, mentre il corpo lotta per guarire e sopravvivere.

Cinque minuti, ci vogliono almeno cinque minuti prima della nostra reazione: lenta e confusa.

In queste situazioni, il tempo sembra estendersi all’infinito mentre la mente lenta e confusa elabora ogni dettaglio. Il respiro diventa corto, il cuore batte all’impazzata, mentre la mente lenta lotta per comprendere ciò che sta accadendo. È un’eternità di confusione e incertezza, un periodo in cui ogni secondo sembra un’eternità. E solo dopo quel lungo, interminabile intervallo di tempo, siamo finalmente pronti a reagire.

Mi avvicino con cautela alla giovane, il mio cuore batte più forte con ogni passo. La luce fioca del crepuscolo rende la sua pallida pelle ancora più eterea, mentre il silenzio intorno sembra amplificare il peso della tragedia che ci avvolge. Le parole trascinano il mio respiro mentre chiedo, quasi a me stessa, “Adesso ne abbiamo due, di morti?” Non posso trattenere un sospiro di disperazione di fronte a questa terribile constatazione. Con una mano tremante, mi avvicino per sfiorarle il braccio, desiderando di trasmetterle anche solo un briciolo di conforto in questo momento così cupo.

Il cuore batte? Chiede Lear. La domanda rimase sospesa nell’aria, mentre il protagonista si trovava immerso in profonde riflessioni. E mentre il dilemma lo assilla, i suoi pensieri vagano lontano, cercando una risposta che forse si nasconde nel mistero insondabile dell’anima umana.

Sì, sì, ma è molto debole – rispondo tastando la giugulare. Osservai con attenzione la ragazza, cercando di individuare qualsiasi segno di vita. La stanza era pervasa da un silenzio teso, interrotto solo dal lieve sussurro del vento che faceva sbattere le pelli. Mentre mi concentravo sul battito flebile, ricordai le parole del mio Saggio che mi aveva insegnato a individuare anche la più sottile variazione nella frequenza cardiaca. Era un momento critico, e ogni istante era prezioso. Con ferma determinazione, mi impegnai a stabilizzare le condizioni della poveretta, consapevole della responsabilità che gravava sulle mie spalle. La pressione era alta, ma non potevo permettere che il timore si insinuasse nella mia mente. Mi concentrai sul compito a cui ero stato chiamata agendo con precisione e prontezza. Ogni gesto, ogni decisione, avrebbero potuto fare la differenza tra la vita e la morte.

Non c’è tempo da perdere…. E Lear si mette all’ opera: taglia il vestito, esamina la ferita, il taglio é profondo, a prima vista non sembrava – controlla dove ha messo lo zaino, tampona, cuce e io lo osservò immobile. Lear sembra concentrato, i suoi movimenti precisi e determinati mentre si adopera a curare. Il suo volto è serio, ma traspare una determinazione ineguagliabile, come se il tempo si fosse fermato. Lo osservo attentamente, senza proferire parola, lasciando che la sua abilità e la sua concentrazione facciano il loro corso. Ogni gesto, ogni movimento è calcolato e preciso, e non posso fare a meno di ammirare la sua abilità nel momento del bisogno. La tensione nell’aria è palpabile, ma Lear non mostra segni di esitazione, concentrato esclusivamente sul compito che ha di fronte, come se il resto del mondo non esistesse. E io rimango lì, immobile, osservando ogni dettaglio di questa scena.

In piedi dietro di lui, ispeziono la capanna con attenzione.

Un focolare, un po’ di provviste – ma appena annuso un sacco, mi viene da levare il naso: che puzza terribile!

Esco a passo spedito e mi trovo il cavallo dell’ uomo a pochi passi da me: sta bruciando l’erba, tranquillo. Mi fermai un istante a osservare la scena, colpita dalla serenità dell’animale mentre pascolava nell’aria fresca del mattino. Mi chiesi cosa stia pensando mentre osserva il mondo intorno a lui, circondato dalla bellezza della natura. Poi, con un sorriso, mi avvicino alla bestia.

Non c’è sella, ma solo una specie di coperta.

Nessun segno riconoscibile.

In che epoca siamo sbucati?

Remota, non c’è dubbio.

Come remoto é il luogo.

Montagne, boschi, fiumi e freddo.

Siamo al nord, lontano dal mare.

Ho visto l ‘aquila di Roma: siamo in un avamposto romano.

Non mi sembra l’Inghilterra, ma perché tiro a indovinare?

Mi avvicino al mio zaino e cerco gli strumenti che mi daranno la nostra esatta posizione sulla Terra.

Terra: fa effetto pensarlo.

La situazione improvvisamente diventa tesa, sento un rumore provenire dalla mia sinistra e mi volto istintivamente. Appena in tempo per vedere la minaccia in avvicinamento. Senza esitazione, afferro la mimetica e la indosso rapidamente, cercando di mescolarmi con l’ambiente circostante. Sono determinata a non farmi cogliere impreparata, devo restare nascosta fino a quando la minaccia si fosse dissolta.

Questa volta sono in tanti, troppi.

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