C’era una volta Teo, un topo nato in una tana sotto una pianta di colza. Era il più piccino, l’ultimo della cucciolata e il più vivace; soprattutto, era il suo aspetto fisico a essere stravagante. Uno strano ciuffo di peli era cresciuto a dismisura sulla sua zucca e, ricadendo sugli occhi, lo faceva assomigliare a un bandito, alquanto spavaldo, poiché gli ricopriva quasi tutto il muso.

Rosellina Topovna, la mamma, era perennemente frenetica e angosciata. Per procurarsi il cibo doveva uscire dal nascondiglio e provava un grande tormento nel lasciare i cuccioli soli e indifesi. La poveretta era stata costretta, suo malgrado, a occuparsi da sola dei suoi piccoli.

Gelindo Petrovic, il suo compagno e padre di quella orda di scatenati era scomparso. Tutti avevano pensato al peggio, forse sbranato da un gatto, però non c’era tempo per piangersi troppo addosso, occorreva rimboccarsi le maniche e tirare avanti.

Come se non bastasse, due formidabili predatori, che Rosellina Topovna conosceva molto bene, girovagavano in quelle lande in cerca di cibo. Erano un gatto rosso, chiamato Leopold, e una fulva volpe di nome Vulpera. Due tipi strambi che non si amavano davvero molto: quando si intravedevano da lontano, cambiavano strada sollevando le grosse code, rimirandosi di storto e sussurrando improperi l’uno all’altro.

Alla povera topolina venivano gli incubi tutte le volte che avvistava quei due, soprattutto Leopold, visto che era stata l’unica a sopravvivere a un suo feroce attacco a sorpresa. Gli era sfuggita da sotto il naso grazie al latte rovesciato dal maldestro felino, sul quale Rosellina, un po’ correndo e un po’ nuotando, era scivolata raggiungendo l’entrata della tana ormai vuota. Era rimasta lì, rannicchiata, nascosta nell’angolo più lontano per tutta la notte, ansimando e con il cuoricino che batteva rapido, quasi a volerle squarciare il petto. Per fortuna, l’aveva scampata.

Unica consolazione, in quella fatale occasione, erano state le botte che Vladimiro, il fattore, aveva dato al felino quando si era accorto del latte sparso tutto intorno. Botte da orbi!

Ecco perché Rosellina cantava questa canzoncina ai suoi figlioletti: «Attenti ragazzi al colore rosso, se lo adocchiate da lontano, scappate a più non posso. Le ali ai piedi dovete mettere, correndo a zig-zag sotto i fiori colmi di giallo nettare. Nel primo buco infilatevi, sino in fondo scendendo, se non volete finire nelle fauci del felino tremendo!».

Disgraziatamente, Teo non era dell’idea, sempre assorto com’era nei suoi pensieri. Le giornate stavano diventando più calde e il birichino non sopportava più di condividere la tana con gli altri fratellini. Accalcati e impacciati come dovevano stare, calci e morsi erano la norma e lui era diventato il più martoriato della brigata. Desiderava tanto vedere il Mondo e visto che si annoiava, tormentava inconsapevole la madre ponendole domande a cui Rosellina sembrava non voler rispondere.

«Mamma, perché i miei fratelli mordono la mia codina riccioluta e mi tirano il ciuffo che solo io porto sulla capoccia, mentre la loro testa è liscia come una boccia?»

«Per tutti i ratti custodi del paradiso! Tu sei sempre pronto a fare bisboccia, prova un po’ a stare a cuccia, da bravo su! Sono indaffarata, non lo vedi? Cosa vuoi che sia qualche bischerata…»

Quel pomeriggio, dopo l’ennesima risposta evasiva, ne ebbe abbastanza e con il ciuffo sugli occhi, piano piano, si avvicinò all’uscita del rifugio. Aveva paura, eppure la curiosità era forte, fortissima, pertanto con un balzo da campione si catapultò verso l’ignoto. Cose da ragazzi, si sa, e si ritrovò sotto un raggio di sole che filtrava dalla enormità sovrastante fatta di leggere corolle gialle. Meditò per qualche minuto, ma poi, tranquillizzato dal silenzio circostante, decise di proseguire per allenare i suoi arti intorpiditi. Raggiunse una pianta di colza un poco più in là, poi un’altra ancora più in là e via dicendo, sempre avanti. Nuovi sentieri si prospettavano all’infinito, alcuni segnati dalle corse di altri topi, altri che portavano verso direzioni sconosciute.

Certuni, svoltavano a destra, taluni a sinistra, e tra incroci e inversioni, si incontravano altre tane e resti di cose misteriose, odori nuovi e soprattutto si godeva della libertà.

«Che meraviglia correre e danzar nell’aria!» cantava spensieratamente Teo, ormai dimentico della discussione con la madre.

 In quel momento, un uccello con le piume nero petrolio svolazzava nell’alto del cielo cristallino. La grossa mamma corvo scrutava il terreno gialloverde, con molta diligenza e cura. Aveva deciso di andare a caccia per poter sfamare i suoi rampolli che sarebbero nati di lì a poco.

Volteggiando nel vento scorse Teo che faceva le prove di corsa veloce tra una pianta e un’altra, notando che l’ingenuo non prestava molta attenzione ai pericoli che potevano piombare su di lui dall’alto.

L’uccello, mettendo a fuoco la stuzzicante situazione, non ci mise molto a decidere che quella strana creatura doveva essere sua e si librò in picchiata, come un missile, sul ciuffo svolazzante dell’ignaro topolino.